
LA GOCCIA CHE APRE LE OMBRE – Storie di cammini
Dalla giustizia riparativa una speranza per la società – L’inchiesta di Lucia Aterini
Basilica di San Miniato al Monte – MERCOLEDÌ 15 GIUGNO ore 16.00

Sette detenuti effettuano un tirocinio in altrettante aziende di pelletteria di Scandicci
A seguito di un corso effettuato nel carcere di Sollicciano su bando regionale, il completamento della formazione si effettua ora per sette detenuti in altrettante aziende di pelletteria di Scandicci.
Al termine del tirocinio i detenuti compiutamente formati potrebbero costituire una manodopera qualificata e, se il mercato lo consente, anche ricercata dalle aziende del settore.
L’Associazione Pantagruel, associazione di volontariato per la difesa dei diritti dei detenuti, ha promosso le diverse fasi della formazione in collaborazione con le strutture del carcere e col determinante contributo finanziario della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze e delle aziende dell’Associazione Pelle Recuperata Italiana (AS.P.R.I.).
L’importanza della esperienza sta nella dimostrazione della possibile realizzazione di procedure che potrebbero riguardare ben altri numeri di detenuti e realizzare col lavoro anche la finalità fondamentale del recupero della funzione sociale della pena come prescrive la Costituzione.
Giuseppe Matulli
Presidente dell’Associazione Pantagruel ODV
Fatima, volontaria a Sollicciano: «Questo luogo è una discarica sociale»
di
Jacopo Storni
– Corriere
Fiorentino, 31 gennaio 2022
«Qui
ci sono persone che dovrebbero stare in una comunità di recupero,
non in carcere». In Italia dal Marocco quando aveva 12 anni, dal
2014 aiuta l’associazione Pantagruel nel penitenziario fiorentino.
Due volte a settimana varca il cancello di Sollicciano ed entra in carcere per stare accanto ai detenuti, ascoltare i loro bisogni, comprendere le loro frustrazioni. Fatima è una ragazza con genitori marocchini, arrivata in Italia dal Marocco quando aveva 12 anni. Nel penitenziario fiorentino, dal 2014 grazie all’associazione Pantagruel, segue soprattutto i reclusi di origine maghrebina. «La cosa più drammatica per i detenuti è l’impossibilità di contattare le loro famiglie. Possono soltanto scrivergli lettere, ma spesso i genitori si trovano in paesi sperduti in Tunisia e Marocco e le lettere che scrivono non arrivano mai. In alternativa possono chiamarli al telefono ma, anche in questo caso, non sempre è semplice perché i loro familiari devono avere un contratto telefonico con un certificato che dimostri che la persona in questione è parente del recluso e non sempre si riesce ad avere». Secondo Fatima, Sollicciano oggi «è una discarica sociale, dove vivono disgraziati che non hanno neppure soldi per pagarsi un caffè, persone che sono tossicodipendenti e sono finite nel giro dello spaccio ma che, anziché in carcere, dovrebbero stare in una comunità di recupero». Tra i casi più drammatici che ha seguito c’è quello di un detenuto marocchino che aveva chiesto al tribunale di sorveglianza un permesso speciale di libertà vigilata per dare un ultimo saluto al padre in fin di vita, ma il permesso è arrivato soltanto dopo la morte del padre.
Da: https://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/22_gennaio_31/fatima-volontaria-sollicciano-questo-luogo-discarica-sociale-69eca09c-826f-11ec-aca6-1054d02d81ba.shtml