Dalla parte dei “cattivi”. Favorire la creatività e il reinserimento sociale di chi è detenuto

Michele Baldini – 2 Dicembre 2024 – lungarnofirenze.it

I dati, purtroppo, parlano chiaro e sono sconcertanti. In un articolo apparso su Il Sole 24 ore lo scorso 29 ottobre, firmato da Patrizia Maciocchi, si legge che i detenuti in Italia sono «oltre 62.000, mai un numero così alto dal 2013»; quest’anno i suicidi sono già 77 e il sovrappopolamento di detenuti è superiore – secondo l’Associazione Antigone – alle 3000 persone.

A Prato si è tolta la vita, lo scorso 28 ottobre, la quinta persona in meno di un anno. Come dimenticare, poi, la furiosa protesta del 5 luglio 2024 a Sollicciano, scatenata proprio dal suicidio di un detenuto ventisettenne e che ha portato alla luce un contesto a dir poco critico dal punto di vista igienico e organizzativo? La situazione non cambia molto se si allarga lo sguardo agli istituti femminili e minorili. Sembra che, leggendo i dati, venga quantomeno eluso uno dei principi di cui all’art. 27 della Costituzione: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Abbiamo deciso di parlare con alcuni di coloro che, da queste parti almeno, hanno scelto di “stare dalla parte dei cattivi”, citando le parole con cui Ornella Favero, direttrice della rivista Ristretti Orizzonti e presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, ha aperto l’ultima edizione del Festival della comunicazione sul carcere e sulle pene, l’11 ottobre scorso, svoltosi all’interno del teatro del carcere di Milano Opera.

L’Associazione Pantagruel opera a Firenze da oltre venticinque anni e siamo stati nel loro atelier in via di Mezzo 39/R. Qui si svolge La Poesia della Bambole, il laboratorio con la sezione femminile del carcere di Sollicciano, in cui viene insegnata la costruzione di bambole, secondo la pedagogia di Rudolf Steiner. Betty Wells, una delle volontarie, ci spiega che questo laboratorio è un momento di creatività, ma anche una risposta ai bisogni economici e terapeutici di chi lo frequenta. Vengono erogate borse lavoro a ex detenute o a detenute in misura alternativa impiegate nel laboratorio esterno. Un altro progetto di Pantagruel è quello di pet therapy (con due asinelli), mentre è andato a buon fine il reinserimento professionale di alcuni detenuti in imprese di pelletteria locali. Favorire sempre di più la sensibilità della città al recupero della socialità e della quotidianità dei detenuti e delle detenute resta una della priorità: «L’ambiente carcerario è  problematico sotto molti punti di vista – continua Wells – ma spesso, tra chi è uscito, c’è chi ha trovato impossibile ricostruirsi una vita all’esterno dopo tanti anni di detenzione. Tuttavia, possiamo dire anche che chi ha completato il percorso con noi non ha commesso recidiva».

Al 1 novembre erano 27 i detenuti del Meucci, l’istituto penale minorile di Firenze, a fronte di una capienza media stimata di 15-17. In una intervista rilasciata a La Nazione del 20 aprile 2023, la direttrice Antonia Bianco spiegava che «le carceri minorili sono luoghi dove, oltre a scontare una pena o attendere il giudizio, i ragazzi vengono guidati in un percorso di recupero. In buona parte dei casi si registra un cambiamento positivo, ma non è sempre così. Tutti dovremmo aiutarli di più quando escono».

Due realtà (tra le altre) sono attive in questo senso negli I.P.M.: la Compagnia Interazioni Elementari, che con il laboratorio di teatro e il festival Spiragli lavora per creare un ponte (per quanto possibile) tra il “dentro” del mondo carcerario e il “fuori” della città e la Cooperativa CAT, che con il laboratorio di musica Rap e il suo linguaggio universale esprime l’urgenza sociale dei giovani detenuti e la mixité culturale che rappresentano.

Da: https://lungarnofirenze.it/2024/12/dalla-parte-dei-cattivi-favorire-la-creativita-e-il-reinserimento-sociale-di-chi-e-detenuto/

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“Io, nell’inferno di Sollicciano, salvata grazie alle bambole”

7 novembre 2024 – redattoresociale.it
Silvia, peruviana di 56 anni, racconta l’esperienza del laboratorio terapeutico di realizzazione di pupazzi per bambini dell’associazione Pantagruel, uno dei tanti progetti di recupero per i reclusi

FIRENZE – Silvia ha 56 anni e un passato burrascoso. Arrivata in Italia dall’estrema povertà del Perù, è finita nel carcere fiorentino di Sollicciano per maltrattamenti ai danni del marito e ai danni del proprio avvocato. Deve scontare tre anni e quattro mesi. “Sollicciano è un inferno” ripete più volte, ma il lavoro le ha conferito la forza per andare avanti.

Costruisce bambole con ago, filo, stoffa, cotone, lana, pastelli e cera grazie al laboratorio messo in piedi dall’associazione Pantagruel, supportato da Fondazione CR Firenze e Diaconia Valdese. “Insieme alla gentilezza delle agenti penitenziarie, il lavoro con le bambole è stata la mia salvezza” dice Silvia (il nome è di fantasia).

“All’inizio ero impacciata, non pensavo che sarei riuscita a costruire tutti quei pupazzi, pian piano ho preso confidenza e oggi costruire bambole mi regala una gioia grandissima. È stato questo che mi ha permesso di resistere dentro il carcere”. Adesso sta scontando gli ultimi mesi di pena fuori da Sollicciano. Quasi ogni giorno viene al laboratorio di Pantagruel per realizzare le sue creazioni. Riceve uno stipendio di 400 euro al mese. “Qui mi sento davvero una persona, e non una detenuta. Prima ero chiusa in me stessa. Questo lavoro mi ha insegnato a interagire con le persone”. E ogni volta che porta a termina una bambola, è per lei un grande motivo d’orgoglio: “E’ una grande gioia, una grande soddisfazione. E se qualcuno mi dice che sono bellissime, è una bellissima sensazione che mi fa sentire davvero appagata”.

Costruire bambole per ri-costruire un essere umano: è questo il senso profondo dell’attività dell’associazione. La bambola non è solo un mero giocattolo, ma è l’immagine stessa dell’essere umano. Il laboratorio è un momento creativo e terapeutico. Le detenute creano le bambole seguendo il metodo pedagogico di Rudolf Steiner, caratterizzato da un approccio che lascia ampia libertà alla creatività e all’attitudine artistica dei bambini, e in questo caso delle detenute. Le bambole, fatte interamente a mano e ognuna diversa dalle altre, vengono poi vendute in beneficenza alle famiglie e i fondi vanno a sostenere le attività dell’associazione.

Da: https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/_io_nell_inferno_di_sollicciano_salvata_grazie_alle_bambole_

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