Giustizia. La procura di Napoli invia l’avviso di conclusione delle indagini a 22 poliziotti penitenziari e a un medico. Le violenze subite dai detenuti tra il 2012 e il 2014. Tra venti giorni si deciderà l’eventuale rinvio a giudizio. E c’è il rischio di prescrizione dei reati
Edizione del 13.08.2016 ilmanifesto
Da lesioni aggravate a violenza privata, da sequestro di persona ad abuso di autorità: è ampio il ventaglio di reati ipotizzati dalla procura di Napoli nell’inchiesta sui maltrattamenti subiti da alcuni detenuti nel carcere di Poggioreale, anche nella cosiddetta «cella zero». Non tutti saranno eventualmente oggetto di una possibile richiesta di rinvio a giudizio, ma per intanto i magistrati hanno recapitato l’avviso di chiusura delle indagini a 22 agenti di polizia penitenziaria e a un medico.
Tra venti giorni, preso atto delle controdeduzioni presentate nel frattempo dalla difesa, che conta di poter dimostrare l’«infondatezza» delle accuse, il pm Alfonso D’Avino, che coordina le indagini condotte dai procuratori aggiunti Valentina Rametta e Giuseppina Loreto, deciderà se e per quali reati chiedere il rinvio a giudizio di alcuni o di tutti gli indagati.
I fatti risalgono ad un arco di tempo che va dal 2012 al 2014. Fu Adriana Tocco, garante dei detenuti della Campania, a raccogliere le prime due denunce di maltrattamenti subiti nel carcere che diedero l’avvio all’attuale inchiesta giudiziaria. La prima vittima attese la fine della pena, prima di decidersi a parlare, nel gennaio 2014. «Era un uomo molto mite, sebbene avesse commesso un reato di frode finanziaria – racconta al manifesto Adriana Tocco -, mi raccontò per filo e per segno ciò che gli fece un poliziotto, senza alcun motivo». Da allora sono diventate 150 le denunce di sevizie, maltrattamenti, a volte vere e proprie torture, perpetrate negli anni. Fu così che si scoprì la presenza, a Poggioreale, – in realtà antica di oltre un ventennio, come denunciò per primo, nel 2012, Pietro Ioia, attivista per i diritti dei reclusi e presidente dell’associazione degli ex detenuti napoletani – della cosiddetta «cella zero», una stanza vuota posta al piano terra, senza videosorveglianza, sporca di sangue sulle pareti, dove si sarebbero consumati i pestaggi.
Il 28 marzo 2014, poi, una delegazione della Commissione libertà civili del parlamento europeo, dopo aver audito formalmente l’associazione Antigone, ispezionò il penitenziario napoletano. In seguito alla visita, l’allora direttrice Teresa Abate venne trasferita ad altro incarico, sostituita con l’attuale dirigente, Antonio Fullone, così come il comandante della polizia penitenziaria. «Da allora – racconta ancora Adriana Tocco – non ho più ricevuto denunce di maltrattamenti. Poche settimane fa, a fine luglio, sono stata in visita di nuovo a Poggioreale per accertarmi della veridicità di alcune lettere ricevute dal garante nazionale dei diritti dei detenuti, Mauro Palma. Ho parlato a lungo con i carcerati e ho potuto verificare che quel tipo di violenze sono terminate».
«Ci auguriamo – dice Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – che si arrivi presto ad appurare eventuali responsabilità senza che, nel caso di colpevolezza degli indagati, intervenga la prescrizione come già avvenuto in altri casi simili». Un rischio concreto, innanzitutto perché dai primi casi di violenza sono già passati quattro anni, ma soprattutto perché, come spiega ancora Gonnella, «in mancanza del reato di tortura, al di là del fatto che possa essere effettivamente stato commesso o meno, vengono ipotizzati reati per i quali sussiste il rischio della prescrizione e quindi dell’impunità». Motivo per il quale l’associazione Antigone chiede «che non si perda ulteriormente tempo e che a settembre il Parlamento ricalendarizzi la discussione e approvi la migliore legge possibile per introdurre nell’ordinamento italiano il reato di tortura».
Ma al di là dei reati eventualmente commessi da alcuni poliziotti penitenziari, rimane la questione aperta dell’isolamento, regime disciplinare dove, fa notare Antigone, «più facilmente, possono avvenire violenze» e che «rappresenta una soluzione particolarmente afflittiva che spesso induce i detenuti ad atti di autolesionismo e a suicidi». Per questo Antigone ha presentato recentemente una proposta di legge per riformare l’applicazione del regime di isolamento, «invitando i parlamentari della Commissione Giustizia di Camera e Senato a farla loro».
Rimane comunque il fatto che la cosiddetta «cella zero» non è contemplata da alcun regolamento penitenziario, e che la sua presenza, all’interno delle mura di molti penitenziari, non solo quello partenopeo, è stata negata per decine di anni.